Non sono mai stato bravo in quello che comunemente viene chiamato “fai da te”. Ricordo che quando avevo poco più di 10 anni, mio padre mi regalò un set composto da martelli, cacciaviti e altri attrezzi, corredato da tutorial per iniziare a fare dei piccoli lavoretti. L’esperienza fu un disastro totale, non perché l’idea di aggiustare o realizzare piccoli lavori non mi appassionasse, ma perché, nonostante seguissi chiaramente le istruzioni, non riuscivo nell’intento. Per molti anni sono stato negato in quasi tutti i lavori manuali. Probabilmente, avere avuto mio padre, un amico o un parente accanto, con cui realizzare quei piccoli lavoretti e aggiustare qualcosa in casa, mi avrebbe aiutato nel passato. Tuttavia, erano gli anni ’90 e allora, forse più di adesso, i genitori erano molto impegnati nel lavoro e il tempo da dedicare ai figli era davvero poco.
Quando sono diventato più grande, ho scoperto di essere dislessico, discalculico e anche disprassico. Tralasciando i primi due, sapete cos’è la disprassia?
La disprassia è un disturbo che rende difficile la pianificazione e la coordinazione dei movimenti. Le persone con disprassia possono sembrare goffe e avere problemi con attività come scrivere, correre o allacciarsi le scarpe.
Niente di così grave, anche perché con il tempo si impara e si migliora, ma si resta sempre meno agili nelle coordinazioni motorie rispetto alla media. Questo ha fatto sì che io fossi sempre piuttosto scarso nel fai da te e non vi nego che tutto ciò mi ha sempre causato frustrazione. Intimamente, ho sempre voluto avere il dono di aggiustare o creare qualcosa con le mie mani, e le poche volte che ci sono riuscito, nonostante la mia goffaggine, è stata sempre una grande soddisfazione.
Arrivato ai 30 anni, con una casa, una famiglia e tanta piccola manutenzione da fare, ho pensato che sarebbe stato bello riprovarci, non solo per risparmiare qualcosa evitando di chiamare continuamente l’artigiano di turno anche solo per montare una tenda, riparare un mobile o installare un pensile, ma anche per pura soddisfazione personale, per un gusto intimo di poter riuscire, solo con il proprio lavoro manuale, a fare qualcosa che fino a quel momento avevo delegato ad altri.
I primi tentativi sono stati degli insuccessi, direi pure clamorosi. Ricordo ancora una volta in cui, tentando di appendere un quadro, ho fatto un disastro tappezzando di buchi un’intera parete. Ma dalle piccole sconfitte sono ripartito e, alla fine, dopo tanti anni, anche io, negato dalla nascita al “fai da te”, con molta pratica e dopo tanti sbagli, ho imparato a cavarmela. Oggi sono perfettamente capace di montare e smontare mobili, appendere mensole, quadri e quant’altro, fare piccole riparazioni e qualche lavoretto di artigianato.
La soddisfazione più grande in questo percorso non è stata solo quella di risparmiare denaro in modo consistente, ma il più è stato evitare di buttare via qualcosa che era riparabile o di chiamare un artigiano quando non indispensabile.
Per quanto non riguardi solo le mie esperienze personali, avrete notato come da 40-50 anni i lavori manuali di qualsiasi genere siano stati messi sempre in secondo piano rispetto a quelli puramente intellettuali. E così, dagli anni ’60 in poi, è nato lo stereotipo secondo cui chi studiava aveva un buon lavoro e una buona posizione sociale, mentre chi si dedicava presto all’artigianato o ad altri lavori più umili era considerato meno rispettabile.
Il fatto è che non tutti possono essere ingegneri, scienziati, ricercatori, avvocati o altro. Tuttavia, la società ha spinto perché tutti lo diventassero e così, con il tempo, le scuole perlopiù incentrate a tale scopo, sono peggiorate sempre più, diventando sempre più facili e generando ragazzi sempre meno istruiti. Ugualmente le università hanno allargato il numero dei corsi, taluni dai nomi più improbabili e dall’utilità discutibile, che a poco servono se non a dare un “titolo” a chi lo agogna per avere un posto nella società che conta. Così, le scuole hanno creato poche eccellenze e molte persone, magari con qualche attitudine intellettuale, ma nella gran parte incapaci di usare la propria manualità e di svolgere tipi di lavori che ormai sono sempre più difficili da trovarsi. Questo fa sì che, più passa il tempo, più molti mestieri artigianali vanno quasi a scomparire, con grave danno per la qualità media dei prodotti in circolazione.
Questa questione non è affatto da sottovalutare; alcuni grandi pedagogisti degli anni passati, come Steiner e Montessori, sostengono che l’individuo esprime il meglio di sé non solo coltivando il sapere intellettuale, ma anche esercitando la propria manualità, oltre a prediligere il contatto con la natura e praticare l’arte.
Rudolf Steiner, il fondatore della pedagogia Waldorf, ha parlato frequentemente dell’importanza di coltivare sia le capacità intellettuali che manuali nei bambini.
“Attraverso il lavoro manuale, il bambino entra in contatto con il mondo in modo concreto e tangibile. Questo non solo sviluppa la destrezza e la coordinazione motoria, ma aiuta anche a radicare le idee e i concetti astratti nella realtà fisica.”
Rudolf Steiner
Maria Montessori, famosa pedagogista italiana, ha sviluppato un metodo educativo che pone un forte accento sull’importanza delle attività manuali e sull’interazione pratica con l’ambiente.
“Il lavoro manuale non è solo un mezzo per raggiungere un fine, ma è anche una via per la crescita personale e la soddisfazione interiore.”
Maria Montessori
Queste citazioni ci ricordano quanto il lavoro manuale, soprattutto in età infantile, aiuti la piena espressione dell’essere umano e credo che tutti noi chi più chi meno possiamo concordare su questo aspetto.
In passato la manualità era un concetto molto più considerato e apprezzato, mentre oggi è spesso legato a un concetto di povertà, di inferiorità, un vero e proprio declassamento sociale. Ma da dove è arrivata mi chiedo questa mentalità?
È arrivata anche in questo caso dalla plastica, non la plastica intesa come mera tecnologia, ma come motore di un cambiamento etico e sociale veramente impattante, che ha ribaltato convinzioni antiche dalle forti fondamenta.
Ricordo ancora molto bene che quando ero piccolo, molti genitori parlavano ai figli dell’importanza dello studio, di fare sacrifici e magari poi raggiungere una posizione di rilievo. In questo percorso il premio finale era, per alcuni, un buon lavoro e una posizione di prestigio, la possibilità di non sporcarsi le mani e di avere il rispetto della comunità. Considerando che sono nato a metà degli anni ’70, ricordo bene quanto questo pensiero fosse molto diffuso all’epoca. Era un pensiero comprensibile, dettato dal desiderio dei genitori di vedere i propri figli migliorare la loro condizione di vita. Ma questo ha portato a una visione distorta del valore dei lavori manuali, relegandoli a una posizione inferiore rispetto a quelli intellettuali.
Con l’avvento della plastica e della produzione di massa, molti oggetti che un tempo erano realizzati artigianalmente sono diventati facilmente sostituibili e meno apprezzati. La qualità e la durabilità hanno spesso ceduto il passo alla quantità e alla convenienza economica. Questo cambiamento ha avuto un impatto profondo sulla percezione dei lavori manuali, contribuendo a considerarli meno prestigiosi e più sacrificabili.
Tuttavia, negli ultimi anni, c’è stato un ritorno di interesse verso l’artigianato e i lavori manuali. La crescente consapevolezza dell’importanza della sostenibilità e la riscoperta del valore degli oggetti fatti a mano hanno portato molte persone a rivalutare queste attività. Sempre più persone si rendono conto che il “fai da te” non è solo un modo per risparmiare denaro, ma anche un’opportunità per esprimere creatività, sviluppare nuove competenze e ottenere una grande soddisfazione personale.
Nel mio percorso di riscoperta del “fai da te”, ho imparato che la chiave del successo non è solo la pratica, ma anche l’attitudine mentale. Accettare i propri limiti, essere pazienti e perseverare di fronte alle difficoltà sono stati elementi fondamentali del mio miglioramento. Ogni piccolo successo, ogni mobile montato o quadro appeso correttamente, mi ha dato la motivazione per continuare e migliorare.
Oggi, posso dire con orgoglio di aver superato molte delle mie difficoltà iniziali. Non sono diventato un maestro artigiano, ma sono capace di affrontare con successo la maggior parte dei lavori di manutenzione domestica. E, soprattutto, ho imparato a godermi il processo, a trovare piacere nella manualità e a vedere il “fai da te” non solo come una necessità, ma come un’opportunità di crescita personale.
La mia storia è un promemoria del fatto che non bisogna mai sottovalutare il potere della determinazione e della pratica. Anche chi, come me, è partito con un forte svantaggio, può migliorare e trovare soddisfazione nel fare con le proprie mani. E chissà, magari questo può essere un piccolo contributo a cambiare la percezione dei lavori manuali nella nostra società, restituendo loro il rispetto e l’importanza che meritano
In conclusione, il “fai da te” non è solo un’attività pratica, ma un viaggio di auto scoperta e crescita. Oltre alla soddisfazione personale, il fai da te offre vantaggi significativi in termini di sostenibilità: consente di risparmiare risorse e ridurre l’inquinamento, promuovendo un approccio anti-plastica. Scegliendo di riparare e riutilizzare prodotti di qualità e durevoli, possiamo diminuire la nostra dipendenza da materiali usa e getta e contribuire a un futuro più eco-compatibile. Invito tutti coloro che si sentono scoraggiati dalle difficoltà iniziali a non arrendersi, a perseverare e a scoprire la gioia e la soddisfazione che possono derivare dal creare qualcosa con le proprie mani, contribuendo nel contempo alla salvaguardia del nostro pianeta.